Da tempo, compulsando le pagine di Dagospia, avevo voglia di raccontare Barbara Costa. Più volte, nelle mie chiacchierate con Giampiero Mughini, facevo il suo nome, per capire se, in effetti, vi era la possibilità di poterla raggiungere.
Perché, è inutile nasconderlo: i suoi articoli si delibano con avidità. Quando si entra nel vortice “dagospiniano”, inevitabile dibattersi nella prosa costiana.
Chi vuole conoscere e conoscersi, faccia bene a cliccare i suoi articoli, soprattutto quelli più liberi, sfrenati. Non si abbia paura di restare stupiti. Nei suoi scritti, ci siamo tutti noi, con i nostri segreti, anche quelli più estremi e inconfessabili. Ci spogliano di freni inibitori, abbattono tabù. E, soprattutto, ci interrogano…
Mi piacerebbe un mondo leggere le articolesse della Costa anche su qualche pagina di qualche gazzetta. Chissà – mi dico – come reagirebbero i lettori, o, soprattutto, i capintesta delle redazioni.
Ma – ahimè – nel paludato e ipocrita mondo della carta stampata, dove l’embrassons-nous conta più dell’originalità, il lecca-lecca più della libertà, la quiete borghese dei lettori più degli schiaffoni intellettuali, i grandi quotidiani fanno finta di non leggerla.
E così, sgomberato il campo da impegni e noie, e grazie alle ambasce del sempre generoso Mughini, arrivo al …