MICHELE GUARDI’, L’UOMO NORMALE…

Negli anni della mia adolescenza, quando i pranzi, pantagruelici e sfinenti, si facevano soprattutto a casa dei nonni, l’appuntamento con i “Fatti Vostri” era irrinunciabile. Se volevo assaporare le vere e artigianali leccornie del vero capo della mia famiglia, che al Sud – diciamolo chiaramente! – è la donna, dovevo sottostare ad una legge ferrea e indiscutibile: guardare il programma creato da Michele Guardì.

Ricordo, come fosse ora, la sua voce fuori campo. Un’invenzione bell’e buona. Privo di conoscenze televisive, cercavo di capire da dove provenisse quella voce così decisa, forte, stentorea, misteriosa. Mio nonno mi diceva, sempre: è il “comitato” che parla; il “comitato” era rappresentato da Guardì, l’uomo RAI per antonomasia.

Quando mi capitava di sgattaiolare da casa e rifugiarmi la notte nelle stanze dei nonni materni – negli anni Ottanta c’era l’usanza, volente o nolente, di abitare tutti nello stesso palazzo, pena l’esclusione sociale e culinaria sine die – il risveglio mattutino, per me, era scioccante. Con il volume della televisione alto come neanche a Woodstock, la sigla di “Uno Mattina” ti scuoteva dal sonno.

L’orologio affisso al muro segnava le 6 del mattino, ma, nonostante gli urli e le implorazioni e gli improperi e i cuscini a tappare le orecchie, non c’era verso: il pater familias, con una tazza di latte fumante, tozzi di pane duro e la sigaretta già accesa, prima di aprire la sua officina, con la sigla di “Uno Mattina” ci ricordava, sghignazzando, che il sole, da Levante, si stava alzando e che, a breve, anche noi poveri Franti avremmo dovuto muovere le chiappe.

Con questi ricordi nella mente, ancor oggi vividi e tersi, decido di incontrarlo dalle parti del suo quartier generale, nel borghese e avvocatesco quartiere di Prati, a pochi metri da mamma RAI.

Mi accoglie con una forte stretta di mano e la sua inconfondibile voce. Osservandolo da vicino, mi è sembrato in pace con sé stesso. Forte dell’esperienza e della prudenza, Guardì non cede alla tentazione del togliersi qualche sasso dalle scarpe, tutt’altro.  Ha, piuttosto, ancora voglia di fare ed essere, seppur a modo suo, protagonista del tubo catodico. E sono sicuro che chi vorrà prendere il suo posto, e non solo nel “comitato”, dovrà faticare parecchio…

    *   *   *

Michele Guardì, da ragazzo, studia dai salesiani, se non sbaglio… E’ stata fondamentale, per lei, la conoscenza dei preti? Cosa ha imparato?

Si dice che quando da ragazzi si frequentano i preti, da adulti si diventa o mangiapreti o mezzi vescovi. Io penso di essere diventato un mezzo vescovo, perché dai preti, e in particolar modo dai salesiani, ho imparato tante regole fondamentali della vita.  Mi ritengo fortunato ad aver fatto quelle frequentazioni.

Addirittura fortunato?

Sì, perché mi hanno insegnato il rispetto degli altri, l’attenzione verso a chi si trova in difficoltà…

Quando ha deciso di mollare il paese natìo?

Non ho deciso di mollarlo. A quei tempi a Casteltermini c’erano solo le scuole medie. Per proseguire gli studi mi son dovuto trasferire ad Agrigento, Ma con la testa e con il cuore, nonostante siano passati tantissimi anni, sono ancora lì…

Che ricordo ha dei suoi genitori?

Di mia madre ho nella testa la dolcezza e la disponibilità verso il prossimo, di mio padre, che era commerciante, la correttezza negli affari e il rispetto degli altri.

Che rapporto ha avuto con loro?

Un bellissimo rapporto. Devo a loro la possibilità di aver seguito la strada che volevo. Quando, dopo la laurea, ho cominciato ad occuparmi professionalmente di teatro, mi hanno sempre guardato con silenziosa preoccupazione, ma senza mai ostacolarmi.

Da chi ha appreso il fare padronale che secondo alcuni la contraddistingue?

Non credo di avere un fare padronale. Ho un grande rispetto per il lavoro fatto bene.  E mi aspetto dalle persone che mi affiancano lo stesso rispetto che ho io. Quello che non sopporto è la sciatteria e, se la noto, la faccio presente senza farmi troppi problemi.

Un tempo dicevano: Michele Guardì, è il re Mida della televisione popolare; oggi, a distanza di anni, si sente ancora così ricco?

Precisiamo: mi davano del re Mida riferendosi ai miei programmi nel senso che avevano sempre successo, che trasformavo in oro quello che toccavo. Quanto ad essere ricco ho incassato quanto mi spettava per le tante cose che ho fatto.

Ha accumulato parecchio…!

Ho lavorato parecchio. Ed ho pagato le tasse fino all’ultimo euro.

Ha mai pensato: ma chissenefrega, evado anche io!

Non ci ho mai pensato.  Ricordo sempre la lezione della maestra Pellitteri: alle scuole elementari ci spiegava che se si vuol vivere in un paese che dà le strade, le scuole, gli ospedali, è un dovere contribuire in rapporto a quanto si guadagna. Sarebbe bello se nelle scuole oggi si tornasse a educazione civica. Per ricordare ai ragazzi i doveri dei cittadini!

E’ avaro?

Per nulla! Di fronte ai bisogni altrui in qualche caso potrei parlare di “mani bucate”.

Lei è sensibile al denaro?

Ne uso quanto basta per vivere in maniera dignitosa e aiutare chi ne ha bisogno. Il denaro è come la polvere da sparo: se gli avvicini un cerino, ti fa saltare in aria…

Quanta violenza ha dovuto utilizzare per tenere a debita distanza rivali, concorrenti, nemici, presunti amici?

Non penso di essere mai stato un violento né di avere avuto nemici nel corso della mia carriera. C’è stato qualcuno che, in qualche momento, avrebbe voluto prendere gli spazi che stavo occupando; ho puntato parecchio i piedi, facendo forza soltanto su una cosa: sui risultati che stavo ottenendo. 

Michele, tanti, nella vita, hanno fatto successo, ma non hanno di certo avuto quella visibilità che le hanno regalato i capintesta della RAI…

A me non ha regalato niente nessuno. Mi sono impegnato al massimo nei programmi che mi sono stati affidati ed ho avuto la fortuna di aver visto riconosciuto il lavoro che ho svolto! Perché anche la fortuna fa stato. Quello sì. 

Si è mai sentito un miracolato, visto la carriera che ha fatto?

I miracolati sono i malati che arrivano a Lourdes e ne tornano sani.

Si laurea in Giurisprudenza… Capisce subito che il Diritto non è per lei?

Al contrario. Il diritto è sempre stata una delle mie passioni. Ancora oggi, con gli amici, faccio l’avvocato di “straforo”. Pensi che nello studio di casa tengo sempre a portata di mano “I quattro codici”. Testo che utilizzavo quando ero uno studente di Giurisprudenza. Poi c’era l’altra mia passione, ancora più forte, per il teatro e per la televisione. E ho voluto assecondare quella.

Una volta, a Sabelli Fioretti, ha detto: io dico cose terribili, ma in faccia! Da dove vien fuori la sua cattiveria? Pensa che sia proprio necessaria?

Dire le cose in faccia, non è una cattiveria, ma un atto di rispetto verso l’interlocutore. Sempre meglio che dirle alle spalle.

Si è mai pentito di aver detto qualcosa di forte?

No, mai!

Quante donne ha sponsorizzato e portato in Rai?

Più uomini, in realtà. Quanto alle donne ricordo la volta che con Antonello Falqui andammo ad Amburgo, in Germania, per assistere ad un concerto di Milva, grande cantante che in Italia, dopo tanti successi, era stata letteralmente dimenticata. Davanti al trionfo ed alle ovazioni che le venivano tributate anche nella parte recitativa (sto parlando di brani di Bertold Brecht) mi convinsi che era un personaggio che andava recuperato. Non solo come cantante, ma anche nella conduzione del nostro nuovo spettacolo: Al Paradise.  Antonello fu d’accordo.  Ebbi ragione. Anche oggi, quando individuo le capacità professionali, non ho di certo preclusioni verso le donne.

Quante donne, una volta diventato potente e all’improvviso bello ai loro occhi, hanno ruotato nella sua vita?

Non sono stato mai considerato bello né, tantomeno, sono stato mai dipinto come tale. Così come non ho mai pensato, né tuttora lo penso, di essere un uomo potente.

Michele, non credo per niente al fatto che lei non abbia mai avuto adulatori, suvvia!

Può non crederci o meno, ma è così. Se qualche piccola adulazione è arrivata mi è arrivata da parte del pubblico. Dalla gente comune. Mio figlio mi dice che le mie fan mi tirano dietro le dentiere.

Volpe, Magalli, Timperi, Saluzzi, Giletti, Frizzi, Castagna, sono stati alcuni dei personaggi che ha lanciato. Chi le ha regalato maggiori rogne e dispiaceri?

Dispiaceri mai…

Forse Castagna quando la tradì per Berlusconi?

Quando Castagna è passato a Mediaset, la cifra che gli venne offerta era troppo importante per essere rifiutata. Lasciò la Rai e mi dispiacque. Certo. Ma capii le sue ragioni.

Prima ha citato Antonello Falqui; ecco, cosa le ha insegnato?

La pulizia delle immagini, e il rispetto della parola.

Quale programma ha toppato?
Toppato mai. C’è un solo spettacolo che non mi piace ricordare, anche se non è stato un insuccesso. E’ uno spettacolo che firmato dopo la morte di mio cugino Enzo Di Pisa con il quale fino ad allora avevo lavorato come autore.  Ero ancora colpito dal dolore…

Il titolo?

Gliel’ho detto: non amo ricordarlo.

Nei continui cambiamenti politici, che in Rai sono sempre repentini, ha mai temuto di essere fatto fuori?

Mai, perché io non mi sono mai schierato. Finché ci sono stati i partiti, sono stato democristiano. Lo ero perché mi piaceva Don Sturzo, il suo  “appello ai liberi e forti”. Mi interessava l’interclassismo, il fatto che tutte le classi sociali potessero vivere insieme.

E oggi chi vota Michele Guardì?

Al momento, non saprei dirglielo; scelgo guardando gli uomini, non più agli schieramenti.

A ottant’anni ha ancora paura di metterci la faccia e prendere posizione?

Non è paura. E’ rispetto dei telespettatori. Essendo pubblicamente esposto in una emittente di Stato non mi sembra indispensabile far sapere per chi voto.

Come è riuscito a galleggiare per decenni in quel frullatore micidiale che è la televisione? La bravura non spiega tutto…

Ma è determinante. Poi ho saputo anche dire dei no…

In che senso?

Una volta mi chiama Angelo Guglielmi, storico e bravissimo direttore di Raitre, e mi fa: Michele, ma perché non fai qualcosa anche per la nostra rete? Lo ringraziai, ma gli dissi che oltre ai programmi che stavo realizzando non riuscivo a fare altro. Ci rimase male.  Anni dopo, incontrandomi, mi disse: ho rispettato la tua serietà professionale, perché avresti potuto saltare su un altro treno.

Quindi lei è più abile o fortunato?

Sono abile nel sapermi gestire.

Qual è stato il politico di primo piano che, negli oltre cinquant’anni di televisione, ha temuto di più? Andreotti, Moro, Forlani, Craxi?

Perché avrei dovuto temerli? Anzi. Ho avuto rapporti di grandi cordialità con Andreotti. Mentre facevo Al Paradise, pensai che fosse il caso di fare intervenire, in un programma di varietà, un politico. Per capire come era fuori dall’habitat nel quale eravamo abituati a vederlo.  Falqui, che oltre a regista era coautore del programma, mi disse che nessuno avrebbe mai accettato. Io mandai una lettera all’onorevole Andreotti all’epoca presidente del Consiglio, dicendogli chi fossi e come pensavo di farlo partecipare al programma.  Dopo pochi giorni, arrivò al Teatro delle Vittorie un messo con la sua risposta. Il presidente voleva capire esattamente cosa avrebbe dovuto fare. Inviai un’altra lettera con il testo dell’intervista. Accettò.  Quell’intervista è ancora nelle teche della RAI.  

E cosa capì del “divo”?

Che oltre ad un grande politico era un uomo coltissimo, di bella umanità, straordinariamente spiritoso.

E gli altri non li ha mai temuti?

Insisto: perché avrei dovuto temerli?  Mi è invece dispiace molto non aver potuto conoscere l’onorevole Moro che ammiravo tanto.

Beniamino Placido, sommo critico televisivo, l’ha definito “ignorante”, se non ricordo male; cosa aveva combinato?

Più che darmi dell’ignorante sosteneva che i miei programmi erano poco colti. Con il tempo ho avuto modo di incontrarlo e di fargli accettare che più che programmi impegnati amavo fare programmi popolari che parlavano al pubblico con semplicità.

Lei ha detto: “Aldo Grasso è una persona invidiosa, ne ho comprensione al limite della pietà”. Michele, ma lei è permaloso! O no?

Mi dispiaccio quando vengo attaccato ingiustamente! Detto questo, il critico fa il suo mestiere. Lasciamoglielo fare.

Ingiustamente, secondo il suo punto di vista… Magari il critico vede delle storture che lei non scorge… O no?

Gliel’ho detto: lasciamo comunque che i critici facciano il loro lavoro.

Con i Fatti Vostri ha portato la piazza in tivù: ha capito qualcosa degli italiani in tutti questi anni?

Ho cercato di fotografare l’italiano, con la sua semplicità, le sue preoccupazioni e le ragioni delle sue gioie. Ho cercato di rappresentare il Paese per com’è e per come è, senza contraffazioni.

Quante volte le è capitato di abusare, per meri scopi di ascolto, della sensibilità e delle debolezze degli italiani?

Se mai mi sono preoccupato dell’opposto.

Cioè?

Nel non esagerare, perché ho sempre avuto in mente l’educazione che ho avuto dai salesiani: il rispetto degli altri. Ho sempre cercato e cerco di entrare nelle case degli italiani in punta di piedi.

Ha mai perso il controllo della situazione durante una delle tante dirette?

Mai.

Quali sono state le più grandi cattiverie perpetrate ai danni degli altri?

Se riconoscessi di averne fatte non avrei difficoltà a farne pubblica ammenda.

E i suoi insopportabili difetti?

Uno, sopportabile: in certi casi sono un po’ permaloso.

E’ un uomo vendicativo?

Per non continuare a starci male dimentico facilmente se mi è stato fatto qualche torto!

Quali sono stati i dolori più grandi della sua vita?

La morte di mio cugino Enzo Di Pisa. Con l’aereo caduto a Punta Raisi. Avevo trent’anni e ho scopeto in quella maniera brutale che la vita non è legata all’età, ma al caso. È stato un dolore grandissimo che mi porto ancora appresso. Da sempre avevamo lavorato in coppia come autori e fui tentato dal mollare la televisione per riprendere la carriera di avvocato. Fu Antonello Falqui a spingermi a tornare a lavorare in televisione e a riportarmi a Roma.

Ha, da poco, pubblicato un libro, “Il Polentone”; era proprio necessario scriverlo e mandarlo in libreria?

Nulla è necessario. Io scrivo perché amo consegnare alla carta i miei ricordi e le mie intuizioni. Se, poi, quello che scrivo diventa un libro di successo, ancora meglio.

Ci sono artisti che avrebbe voluto lanciare e che è si lasciato sfuggire?

Sinceramente, no. Ho chiamato a lavorare con me quanti pensavo potessero fare al mio caso. Sono molto contento, tanto per farle un esempio odierno, di lavorare con Salvo Sottile, giornalista di valore ma anche molto bravo nel fare dell’intrattenimento. 

Ci sono registi che invidia?

Per nulla! Sono contento di quello che sono e di quello che ho fatto. L’invidia non è un sentimento che mi appartiene.

Fra poco compie ottant’anni, ma la voglia di mollare il potere non si scorge; vuole morire dietro lo schermo?

Sono un ottimista. Tra le mie intenzioni c’è quella di campare altri ottant’anni!

Come domina la paura di morire?

Non la domino. Non me ne occupo.

È attratto più da Dio o dal potere?

Amo Dio, mentre il potere non mi interessa, soprattutto se fine a sé stesso. E poi non dimentichi che per esercitare potere ci vuole talento, altrimenti diventa boomerang.

E lei, quale talento pensa di possedere?

Quello di considerare il potere come qualcosa che non mi appartiene,

So che è un devoto di San Calogero: anche lei schiavo delle credenze?
Le credenze non creano schiavitù. Sono un bel moto dell’animo. Io amo San Calogero perché lo sento un bel tramite per legarmi al buon Dio. Ma anche Camilleri, che pur era ateo, era devotissimo del Santo. Quando gli chiedevo il perché mi rispondeva senza darmi altre spiegazioni: “A mia san Calò mi piaci assà”!  (a me, San Calogero, piace assai!)

Vittorio Feltri, recentemente, mi ha detto che la gratitudine è il sentimento della vigilia. Quanti ingrati ha conosciuto nella sua vita?

La gratitudine e l’ingratitudine nel nostro mestiere non sono elementi con cui ti puoi confrontare. Sennò, smetti di vivere! A dirla tutta, Il primo ingrato sono stato io, quando decisi di lasciare Antonello Falqui; dopo sette anni sentivo la necessità di fare e provare altro. Ebbi, però, l’accortezza, nei primissimi anni lontano da lui, di fare solo l’autore. Non il regista.

Sì, ma non risposto alla mia domanda. Quanti ingrati ha visto passare sotto i suoi occhi?

Se legge la mia risposta precedente: nessuno.

Gratitudini?

Tante. Una in particolare. A Giovanna Flora, coautrice e capo progetto dei Fatti Vostri. Mi è stata accanto ed ha tenuto in piedi il programma anche quando, preso da altri impegni, non mi sono occupato compiutamente dei Fatti Vostri.

Chi sono gli amici di Michele Guardì?

Quelli che ricordo con affetto particolare gli amici del paese, quelli dell’infanzia.

Quale degli scrittori siciliani apprezza di più?
Sicuramente Camilleri, perché lo sento più vicino e perché l’ho frequentato.

E Sciascia e Bufalino?
Grandissimi, ma Andrea ce l’ho nel cuore!

1 commento su “MICHELE GUARDI’, L’UOMO NORMALE…”

  1. Anna Maria D’Alessandro

    Mi farebbe molto piacere conoscere Michele Guardi. I miei genitori erano di Casteltermini, paese dove vivono miei parenti.

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