Qualche critico, se mai avesse la sventura di leggere questa intervista, potrebbe storcere il naso se scrivo che Maurizio Serra è uno dei pochi intellettuali italiani di caratura e respiro internazionali.
Addentro alle cose e ai “giochi” del mondo come pochi, quest’italiano pigro e cosmopolita, guardingo e scaltro, cresciuto a pane e diplomazia, ha, da sempre però, una doppia vita, proprio come il suo amato Italo Svevo.
Leggendo i suoi libri, a partire dall’Esteta Armato – quello più bello e riuscito, secondo il mio parere e, probabilmente, di molti – ho cercato di insinuarmi nel suo cervello e capire perché un uomo così misurato e, per certi versi, conformista, pavido, anche nelle parole utilizzate, alla fine scegliesse, nelle sue fatiche letterarie, personaggi strambi, per nulla banali, eterodossi, ambigui, mascalzoni, vanitosi, sensuali, viziosi.
E, osservandolo da vicino, me lo sono immaginato così: di giorno a costruire compromessi, tessere relazioni, trame, e a sciogliere nodi inestricabili; di notte, snodata l’immancabile cravatta e deposto il doveroso quanto faticoso e, a volte, inutile aplomb, a scrivere, raccontare, curiosare, indagare nella vita altrui e, sicuramente, nella propria.
Sì, perché una volta spente le luci della Società, che ti impone regole, codici, parole, comandamenti, modi di …