Seguivo Barbara Alberti da anni. Nel panorama letterario italiano, quest’umbra anomala e per niente provinciale, si è sempre distinta per essere una scrittrice raffinata, mai banale. Gelosa di Majakovskij e il Vangelo secondo Maria, tanto per dire, si divorano per intensità. Sono parole vergate con il fuoco. E’ una delle poche, vere bohémien rimaste in circolazione; e, nonostante, i successi, gli agi, il denaro, divorato come la sua esistenza, la popolarità, cresciuta a dismisura grazie anche alla televisione, la sua vita, nonostante tutto, non è mai cambiata. Anzi.
La sua storia, personale e professionale, è un libro aperto. Nella nostra lunga chiacchierata, avvenuta in un parco dalle parti del quartiere Trieste, in una giornata calda, primaverile, questa farfalla della parola, guardandomi dritta negli occhi, non si è persa in barocchismi, ghirigori, infingimenti, né, tantomeno, in perifrasi diplomatiche, stucchevoli e noiose. La sua dialettica, veloce, secca, tagliente arriva dritto al cuore. Non è, di certo, un personaggio pirandelliano. Barbara è proprio come la si legge o la si vede sul piccolo schermo. Non si sdoppia, al massimo si ritrae dinanzi alla volgarità o alla piccolezza dell’umanità televisiva.
Alla maniera di Claudio Rinaldi, storico e grande direttore di settimanali oggi …