Aurelio Picca

Sgomberiamo subito il campo dagli equivoci: chi dice che Aurelio Picca è l’Henry Miller dei Castelli Romani dice e racconta una palese sciocchezza! Chi lo dice fa un torto ad entrambi. Paragonare, equiparare, a cosa serve, in fondo? Ad alimentare un misero battage mediatico. Picca è Picca. Piaccia o meno. Me ne sono reso conto in una lunga giornata trascorsa con questo anomalo esemplare della letteratura italiana. Refrattario al caos capitolino, Aurelio mi dice che è pronto a questo match, ma a patto di raggiungerlo a casa sua, a qualche chilometro da Velletri. E così, dopo più di un’ora di viaggio e schivato, a fatica, l’orda barbarica che saliva, famelica, ai Castelli, arrivo nel suo eremo.

Ad aprirmi la porta, una ragazza minuta, delicata, raffinata, una sorta d’allieva, la bambolina rock, come poi mi dirà Aurelio. Il Nostro, nel frattempo, era in qualche stanza labirintica a prepararsi. Più che una casa, mi è sembrata una masseria tipica della Valle d’Itria, immersa e nascosta tra centinaia di ulivi. La sua voce, forte, era addolcita solo dal cinguetto degli uccelli. “Arsenale di Roma distrutta” mi aveva colpito e aperto gli occhi su una città che, da levantino, conoscevo poco. …